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lunedì 16 novembre 2015

Sulla conferenza nazionale “Cosmocity. Migrazioni, religioni e città interculturali”

di Aniello Fioccola - in Eventi e dibattiti


Martedì 10 novembre, alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Sapienza di Roma si è tenuta la 2° Conferenza nazionale “Cosmocity. Migrazioni, religioni e città interculturali”, dedicata alle celebrazioni di Divali viste come un’occasione per promuovere il dialogo interreligioso. Com’è noto, Divali (la “Festa delle luci”) simboleggia
la vittoria del bene sul male ed è una delle più importanti feste indiane.
La conferenza si è articolata in due sessioni (Sessione di Studio, Sessione esperienza) in cui si è riflettuto sul tema del dialogo religioso e su come l’idea di multireligiosità abbia modificato i diversi ambiti del vivere quotidiano, quali scuola, lavoro e sanità.

Il vicerettore Biaggini, in una intensa introduzione, ha sottolineato l’importanza di una conferenza sul dialogo interreligioso non soltanto nell’ambito umanistico ma anche in quello economico, medico, scientifico.

Sergio Botta, tra gli ideatori della conferenza e docente di Storia delle religioni, ha presentato il master “Religione e mediazione culturale” di cui è direttore, rilevando da una parte la necessità avvertita dagli studiosi di uscire dall’ambito chiuso delle biblioteche e del dibattito universitario per volgere uno sguardo verso l’esterno, e dall’altra il sentito bisogno, nel dibattito pubblico, di un contributo sulla religione da parte di specialisti.

Alessandro Saggioro, professore di Storia delle religioni presso la Sapienza, ha tenuto un intervento sui cosiddetti “Principi di Toledo”: Guiding Principles on Teaching about Religions and Beliefs in Public Schools. Redatto nel 2007 da un gruppo di esperti individuato dall’Osce (Organization for Security and Co-operation in Europe), il documento riguarda la ridefinizione delle linee operative a cui i paesi della comunità internazionale possono fare riferimento per riflettere sulla compatibilità dei sistemi comunicativi in materia religiosa.

In riferimento al titolo del convegno, Saggioro ha sottolineato come Toledo possa essere considerata strumento della costruzione di una Cosmocity: essa è stata scelta come città emblematica in cui è possibile rintracciare le stratificazioni della storia e le compresenze di una serie di idee religiose che sono segno del passaggio di popoli e culture diverse e anche delle trasformazioni religiose. Toledo, ha affermato Alessandro Saggioro, porta i segni del paganesimo, di un cristianesimo rurale bollato come eretico, della comunità ebraica, dell’Islam e infine (nella chiesa di San Romano), accanto ai segni evidenti di un’architettura islamica, reca quelli della consacrazione al cristianesimo e della presenza di maestranze ebraiche. Toledo dunque mostra quanto i nostri luoghi siano connotati da un paesaggio religioso che racconta sicuramente un passato non pacifico, ma spesso anche periodi di cooperazione e di comunione che hanno condotto alla costruzione di momenti di bellezza e conoscenza.
Dopo gli accenni su Toledo Saggioro ha riassunto alcuni tra i punti più importanti dei principi di Toledo. Elemento centrale del documento sono i diritti umani insieme alle modalità dell’insegnamento delle religioni, che dev’essere svolto con cautela e lucido esercizio di ragione. L’insegnamento dev’essere, insomma, uno spazio d’interazione in cui non si riversano conoscenze in sé su un pubblico più o meno passivo ma uno spazio in cui i diritti vengono pienamente esercitati e rispettati.

Un altro punto decisivo del documento, secondo Saggioro, riguarda la preparazione dei programmi d’insegnamento: quasi ogni pagina dei manuali di storia e di filosofia e degli strumenti didattici scolastici potrebbe essere sottoposta a una revisione cautelativa rispetto alla necessità di prestare maggiore attenzione ai diritti umani e ai principi di non interferenza.
Altri passaggi importanti del documento riguardano la formazione degli insegnanti e le politiche inclusive da mettere in atto da parte degli organismi scolastici e istituzionali per percorrere i sentieri della pacificazione e del dialogo.
Un intervento, insomma, di grande interesse anche e soprattutto per l’attenzione ai problemi delle società contemporanee, in questo nostro tempo così segnato dalle prospettive e delle difficoltà di una Cosmocity armoniosa.

Il prof. Bongiovanni della Pontificia Università Urbaniana è partito invece dalla dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II riguardante il rapporto tra la chiesa cattolica e le religione non cristiane.
Egli si è posto una domanda fondamentale: com’è il nostro tempo oggi di fronte ai molteplici costumi religiosi e culturali e alla prossimità sempre più accentuata di persone altre nazionalità?
Da un lato c’è l’idea di uno scontro delle civiltà, con identità forti, esclusive ed escludenti, contrapposte fino a giungere alle degenerazioni violente e terroristiche che viviamo in questo periodo. Dall’altra vi è un relativismo valoriale, culturale e religioso che porta a quei laicismi il cui tono assume un carattere simile a quello del fondamentalismo. Entrambe le parti sono frutto della modernità e si contendono il primato della ragione, ma il risultato è spesso simile e si concretizza nell’esclusione dell’altro.
Bongiovanni si è soffermato ad analizzare prima i fondamentalismi che rappresentano un problema non solo per la società ma anche all’interno delle loro stesse tradizioni e in secondo luogo il relativismo che ha portato a un certo umanitarismo in cui la tolleranza può nascondere la non accettazione dell’altro e la distanza con un “egli” lontano.
Bongiovanni propone una terza linea, quella dialogica, che sposta l’asse verso la dimensione relazionale e così rende il dialogo più profondo e personale, coinvolgendo così gli aspetti concreti della vita. In tal modo il dialogo interreligioso diventa un dialogo esistenziale, nel quale non interagiscono i sistemi ma le persone. Dall’idea di lotta, di tensione, di confronto si arriva così alla relazione (citando Buber: “in principio era la relazione”), a una via dialogica il cui obiettivo è costruire un cosmo differente dove il dialogo vada inteso come scelta, come modo di vivere diversamente. Buber, appunto: il filosofo austriaco (naturalizzato israeliano) per il quale la vita è non-soggettività, ma intersoggettività.

Il dialogo interreligioso è innanzitutto fatto da persone che vivono in un rapporto con la trascendenza; esso è possibile solo se si favorisce un incontro esistenziale che può trasformare la vita delle persone. Di qui il bisogno di attivare specifici percorsi pedagogici.

Alla fine del suo intervento lo studioso si è soffermato sulla libertà religiosa che nel nostro tempo è uno dei diritti più ostacolati. È significativo come alcuni studi abbiano evidenziato che più in una società sono violati i diritti religiosi, maggiormente si sviluppano fondamentalismi e settarismi.


Successivamente si è aperta la “Sessione Esperienze” con l’intervento di Luigi De Salvia, segretario della sezione italiana di “Religions for Peace”, che ha sottolineato come le relazioni non debbano essere soltanto un fatto teorico ma legate a esperienze concrete. In particolare ha descritto la costruzione (in ospedali) di spazi nei quali le persone di altre religioni possano vivere la propria spiritualità.

Chiara Peri, responsabile dei rapporti internazionali dell’Associazione Centro Astalli, ha presentato il progetto “Luoghi comuni, luoghi in comune” il cui obiettivo è fare in modo che i giovani sviluppino un sentimento di fierezza versa la cultura altrui, intesa come prodotto di una comune natura umana. Il Centro Astalli organizza incontri di orientamento per i cittadini stranieri presso i luoghi di culto e promuove una maggiore consapevolezza e conoscenza a partire dalla scuola, luogo privilegiato dell’incontro di differenti identità religiose.

Abdellah Redouane, segretario generale del Centro Islamico della Grande Moschea di Roma, ha raccontato la storia del centro e le sue attività.

Irene De Angelis in qualità di dirigente dell’IISS “Leonardo Da Vinci” di Roma ha portato il racconto dell’esperienza di una scuola con un’alta percentuale di studenti stranieri e del relativo problema riguardante la gestione dell’ora di religione.

Rita Finco, pedagogista e consulente etnoclinico presso l’università Parigi 13 e l’università di Bergamo, ha esposto la sua esperienza di lavoro a contatto con i migranti che vanno considerati come portatori di una dimensione religiosa in senso ampio. Secondo Rita Finco la paura rappresenta un momento importante di crescita perché è grazie ad essa che l’altro esiste, è la paura che permette di conoscere l’alterità dell’altro. Nel momento in cui non c’è più paura, nella mente si è già costruito un percorso e non si sta più costruendo con l’altro, perché nella paura ci si deve affidare all’altro e l’altro deve affidarsi a noi. La pedagogista è convinta che il dialogo sia fondamentale, ma è convinta altresì che le parole abbiano un peso decisivo e costruiscano il mondo, tuttavia proprio per questo motivo è necessario fare attenzione alle parole usate.

Silvia Omenette, dottoranda a Roma Tre, ha esposto una parte della sua ricerca sulla localizzazione e l’architettura dei presenti in Italia, spiegando la metodologia scelta per questo suo studio e i risultati ai quali è giunta.

Andrea Fellegara ha mostrato attraverso una serie d’immagini le attività dell’Associazione “Pontieri del Dialogo”, affermando che il camminare costituisce uno degli elementi fondamentali del dialogo: camminare significa attraversare territori e conoscere persone e luoghi e dunque aprirsi all’alterità.

Sergio Botta è intervenuto anche nella sezione pomeridiana presentando la visione del cortometraggio “Gas Station” di Alessandro Palizzi selezionato alla 18° edizione del Religion Today Film Festival.
Egli ha mostrato quanto stretto sia il rapporto tra cinema e religione. Basti pensare alle prime case di produzione che producevano passioni di Cristo. Era il modo per raccontare storie comprensibili a tutti, affinché le persone conoscessero gli eventi e i valori della propria patria e della tradizione europea.
Tanti registi nel Novecento hanno utilizzato la religione per costruire i loro film (Bresson e Bergman per esempio), e la Bibbia a un certo punto è diventata il grande testo, la grande narrazione cui attingere per fare film. Ma il cinema è stato veicolo anche di altre tradizioni, esso ha dato un contributo notevole, per esempio, alla conoscenza del buddismo in Occidente (Bertolucci, Scorsese).

Nella parte finale del convegno, dopo il saluto dell’ambasciatore indiano Sri Basant K. Gupta, sono intervenuti i rappresentanti di diverse comunità religiose presenti a Roma: la Comunità ebraica di Roma; la Fondazione ISKCON Italia; l’Istituto Tevere Pro-Dialogo; l’Associazione Buddista Rissho Kosei-kai; l’Unione Induista Italiana; l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai; il Brahma Kumaris.

Al termine degli interventi i vari rappresentanti e alcune persone del pubblico hanno acceso una lampada simbolo di pace e fratellanza tra i popoli.

La festa del Divali è stata celebrata anche al Senato, l'11 novembre, con un Convegno organizzato dall'Unione Induista Italiana, dal titolo “Dipavali e libertà religiosa. Il ruolo delle religioni oggi per una rinnovata coscienza ambientale. Sfide etiche per il futuro”. Al Convegno è seguita una cerimonia ufficiale presso l'Ambasciata Indiana a Roma.


I fatti di Parigi del 13 novembre dimostrano quanto occasioni di incontro e discussione come il Convegno della Sapienza di Roma e quello del Senato rappresentino un momenti essenziali per costruire una Cosmocity in cui la dialettica tra comunità diverse si declini nella misura di una relazione pacifica e di un dialogo che tenga conto delle istanze delle varie forze religiose.

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